archives of global protests | www.agp.org
PERCORSI DI LIBERAZIONE DALLA SELVA LACANDONA ALL'EUROPA (2º Parte) DA PRAGA A MADRID Cosa ci importa il giudizio che in futuro potrà essere dato sulle nostre oscure personalità? Se abbiamo constatato le differenze politiche che esistono tra la maggioranza della Comune e noi, non è per attirare il biasimo sugli uni e l'elogio sugli altri. È perché più tardi, se la Comune sarà vinta, si sappia che essa era altro da quello che è sembrata essere fino ad oggi. Gustave Lefrançais, discorso agli elettori del quarto arrondissement, 20 maggio 1871 La decisione finale sull'organizzazione dei tavoli non si era presa a Praga in parte perché, di nuovo, il tempo era venuto meno e in parte perché mancava ancora l'ultimo appuntamento, quello della rete delle donne, svoltosi a Vienna i giorni 1-2-3 maggio. Lì si determinarono le precise modalità con cui affrontare le questioni relative al genere: ciascun tavolo avrebbe dedicato uno spazio all'argomento, mentre ve ne sarebbe stato uno specifico suddiviso in una parte mista e una parte unicamente femminile. Era una scelta ragionevole che interpretava i suggerimenti della consultazione e i sentimenti di molte compagne. Tuttavia, la delicata geometria mutuata dal Chiapas usciva irrimediabilmente incrinata dalla proposta finale di organizzazione tematica fatta circolare dalla commissione contenuti a fine maggio. Con quello delle donne ("Contro il patriarcato"), i tavoli da cinque erano divenuti adesso sei (vedi), mentre cinque rimanevano le sedi ospitanti. Così, la scelta di una struttura organizzativa ricalcata passo a passo sul primo Incontro (date sedi, tavoli, temi, carovane, quote d'iscrizione...) al fine di dirimere ogni questione con la forza dell'ipse dixit zapatista, finiva col rivelare la propria inadeguatezza. Questa sfasatura, unitamente al fatto che, dopo Praga, tutte le situazioni locali erano state precipitate nella fornace dell'allestimento materiale dell'incontro, fece sì che le sensibilità individuali e collettive venissero sollecitate oltre misura, conducendo a due atteggiamenti mentali opposti, ma ugualmente negativi. I comitati spagnoli - insieme con coloro i quali, per un motivo o per l'altro, si sentivano maggiormente coinvolti - si lanciarono a capofitto nella questione tecnico-organizzativa, mentre tutti quelli che per qualsiasi motivo non condividevano a pieno le decisioni prese, iniziarono a ritrarsi e a considerare il nascente Incontro cosa non interamente loro. Mentre gli uni consideravano un intoppo qualsiasi dubbio, gli altri incominciarono a mugugnare, a fare interminabili questioni di principio. L'esito finale ha finito per dare torto ad entrambi gli atteggiamenti: laddove l'eccesso di pignoleria degli uni ha semplicemente depotenziato l'Incontro riducendone e attutendone la portata (che, bisogna dirlo, poteva essere ben maggiore), la generosità ostinata degli altri ha portato a una volontaria sterilizzazione dei grandi contrasti presenti nella rete, per privilegiare il successo puro e semplice dell'evento. I mesi di aprile, maggio e giugno sarebbero comunque stati di attività frenetica per diffondere e far conoscere l'iniziativa negli ambiti locali. Sapevamo bene che i mezzi di comunicazione ufficiali, soprattutto nella fase di preparazione, non avrebbero detto una parola sull'Incontro ed era quindi vitale cercare vie alternative. Serate, feste, manifesti, volantini, questionari, messaggi, concorsi (per il logo) e dibattiti si accavallarono senza tregua, spesso creando sovrapposizioni, doppioni, lacune... ma mostrando nel contempo una grande ricchezza potenziale che se stenta tuttora a trovare le proprie specifiche modalità d'espressione pare contenere un'incoercibile vitalità. Stremati dai problemi organizzativi e con sulle spalle il peso incombente della questione finanziaria - anche se alla fine ci sarà un consistente attivo (utilizzato per metà a sostegno dei profughi chiapanechi di Los Altos, e per metà posto a disposizione di un auspicato Terzo Incontro), in quella fase le spese lievitavano a fronte di entrate stente e pigre - i comitati spagnoli si gettarono in una rincorsa all'ultimo iscritto fino ad arrivare a penose dispute intestine e ad una intempestiva duplicazione dei tavoli tra Madrid - città cui era stata attribuito un ruolo centrale per ragioni logistiche e di visibilità mediatica, ma che era sede di comitati relativamente fragili - e Barcellona, senza dubbio il luogo dove il movimento neozapatista era più articolato. Di fronte all'inasprimento di questi problemi, altre questioni ugualmente importanti come ad esempio le forme di registrazione dell'Incontro, la scelta dei moderatori, l'analisi delle procedure furono lasciate in secondo piano, con ripercussioni negative al momento di iniziare i lavori. Il tempo, comunque, stava per scadere. Hic Rhodus, hic salta: Rodi era vicina ed era ora di saltare. Ne saremmo stati capaci? Nell'ultima settimana di luglio, giovani e meno giovani da ogni parte del mondo arrivavano in Spagna, ben decisi a parlarsi e ad ascoltarsi: per quanti errori potessimo aver fatto, l'Incontro iniziava, proprio come ci eravamo liberamente promessi nel fango del Chiapas. Per la prima volta nella storia d'Europa, c'eravamo: dall'altra Europa, dall'altra America, dall'altra Africa...per dire e fare e sognare cose dell'altro mondo. ECCOCI "Se metto in rilievo i lati più positivi della vita e rivolgo la mia attenzione verso le mete più nobili, è perchè i lati negativi prosperano da soli e non hanno bisogno di incoraggiamento." Lewis Mumford Si arrivava così al 26 di luglio, sabato, sera dell'inaugurazione. Quella sera, invece del solito pubblico delle corride, sedeva sulle gradinate dell'arena di San Sebastian de los Reyes, una folla variopinta e irrequieta. Con gli ultimi arrivi e le prime polemiche, la confusione degli accrediti e le (disagevoli) condizioni di alloggio, la giornata non era stata facile. Ognuno trovava ottimi motivi per irritarsi ed altrettanti per mantenere il buon umore. Le sensazioni si sovrapponevano e si confondevano: disponibilità, amicizia, chiusura, entusiasmo. Non noia. L'inaugurazione decollava con lentezza fino all'arrivo dei due delegati dell'EZLN, Dalia e Felipe. Carica di significati, la loro presenza faceva dimenticare la tensione, le contrapposizioni ideologiche e i disguidi organizzativi delle ultime settimane. La nave della speranza, salpata tre anni prima da Aguascalientes, Chiapas, era infine approdata a queste terre dell'"Europa ribelle e degna". Per la prima volta una delegazione zapatista usciva dal Messico e, a 505 anni dall'invasione, per la prima volta dei combattenti indigeni percorrevano in senso inverso la rotta dei conquistatori spagnoli. Maya tojolabal di Guadalupe Tepeyac, il villaggio della Selva Lacandona occupato dall'esercito messicano nel 1995, Dalia e Felipe appartenevano alle basi d'appoggio (cioè i reparti logistici) dell'EZLN e portavano il volto coperto dal paliacate, il fazzoletto rosso simbolo della ribellione. "Essi - affermava il breve comunicato di Marcos (vedi) - sono la nostra forza principale e il nostro migliore argomento". Accompagnavano i delegati zapatisti due figure di spicco della società civile messicana, Paulina Fernández, una delle organizzatrici del Primo Incontro, e Rosario Ibarra de Piedra, ex candidata alla presidenza della repubblica, animatrice delle Madri di Eureka! che da vent'anni lottano per portare alla luce la verità sui cinquecento desaparecidos della controrivoluzione messicana. "Siamo necessari alla storia. Il mondo non può camminare senza di noi" esordì Dalia: parole potenti che non si riferivano solo ai maya, ma alla moltitudine di popoli originari che lottano per essere padroni del proprio destino e contribuire alla costruzione di molti mondi. "Non siamo venuti - proseguiva - per litigare, per vedere chi parla meglio, chi possiede la verità o chi é più forte". Un diplomatico appunto alla rissosa moltitudine di dissidenti intergalattici? "Speriamo di congiungere il nostro colore e il nostro suono al mondo della resistenza", concluse Dalia. La cerimonia finì con la consegna di doni simbolici: una pannocchia di mais, una manciata di terra chiapaneca, un bastone di comando, una pietra sacra e "la presenza di tutti voi e di noi a questo Incontro". Un ritratto di questo mondo della resistenza, di tutti i "noi" e i "voi" giunti a Madrid non é facile. Nelle parole degli ospiti spagnoli, essi "rappresentano migliaia di spiriti liberi provenienti da tante terre, portatori di diverse visioni di vita, concetti politici, usanze alimentari, intonati e stonati con il mondo, pazzi e poeti irredenti, contadini e studenti, lavoratori manuali ed artigiani della parola, irriducibili e sperimentatori, eredi di un passato di resistenza ed esploratori di un futuro di libertà". In tutto erano presenti quarantacinque paesi, tre in più rispetto all'anno precedente. Alcuni partecipanti erano cani sciolti, spesso orgogliosi di essere tali, altri appartenevano a gruppi, organizzazioni e collettivi estremamente eterogenei: Ong, sindacalisti, femministe, professori universitari, ecologisti, centri sociali, animalisti, lesbiche, gay, religiosi, pacifisti e veterani di guerriglie e lotte armate remote e vicine, passate e presenti. Ed ancora: i Senza Terra del Brasile, il PKK kurdo, il Fronte Polisario, i baschi, il Consortium for Agrarian Reform (indonesiano), il Peasant Movement filippino, il Congresso Nazionale Indigeno del Messico, il Consejo de Pueblos Mayas del Guatemala e decine di organizzazioni popolari provenienti dai quattro angoli del globo. Alcuni si richiamavano al nazionalismo dei popoli oppressi, alle antiche ortodossie o a qualcuna delle molte denominazioni del vecchio movimento operaio. E c'era anche chi, tentando l'esplorazione di nuove piste, vorrebbe rifuggire da ogni classificazione tradizionale. Poiché l'incontro intendeva oltrepassare i limiti della solidarietà con il Chiapas, moltissimi non appartenevano ai comitati di appoggio alla lotta zapatista (alcuni, addirittura, ne ignoravano l'esistenza!), però tutti cercavano risposte - tante quanti erano i loro mondi - al messaggio ribelle che giunge dal sud-est messicano. Tra gli europei, gli italiani erano la maggioranza: circa ottocento. In gran parte appartenevano ai Centri Sociali (Bergamo, Cremona, Brescia, Catania, Empoli, Firenze, Napoli, Genova, Milano, Roma, Pisa, Parma, Perugia, Bari, ecc.), alle radio di movimento (radio Onda d'Urto, Radio Onda Rossa), al sindacalismo di base (COBAS, SLAI-COBAS, SIN-COBAS, CUB), ai comitati Chiapas (Brescia, Firenze, Torino, Pisa, Bari, Catania), ai gruppi femministi fino al Movimento Umanista e ai multipli burloni di Luther Blissett. Poco visibile erano sia la sinistra ufficiale che i Centri Sociali ad essa vicini, raggruppati nell'Associazione Ya Basta. Dopo l'insuccesso di Zurigo, queste forze si erano concentrate nell'organizzazione di un mini-incontro a Venezia (11-14 settembre 1997) dove saranno presenti Maribel e Mesías, due esponenti delle basi d'appoggio dell'EZLN, successivamente coinvolti nei più strampalati appuntamenti, inclusi quelli con uomini politici e amministratori pubblici italiani, personaggi che, come è noto, tutto praticano meno che democrazia, libertà e giustizia. Sorprendentemente pochi risultarono alla fine gli spagnoli: appena quattrocento oltre agli organizzatori, circa un centinaio. Perché? Probabilmente i problemi cui abbiamo accennato condussero a trascurare il rapporto con il territorio che, indubbiamente, visse in larga misura l'Incontro come una realtà estranea. Sia pur ancora molto limitata numericamente, significativa fu invece l'affluenza di extraeuropei: vi erano un centinaio di messicani (numero assai rispettabile, se si considerano i costi) e parecchi statunitensi, tra cui i noti internettisti di Austin, Texas, creatori della prima pagina web di informazioni sulla ribellione chiapaneca. MOLTI INCONTRI Bisogna attraversare la lunga corsa del tempo per arrivare al centro dell'occasione Balthasar Gracian Era una vera e propria Babele umana, politica e linguistica quella che si era data appuntamento a Madrid. Una Babele che, nei giorni successivi avrebbe faticato a trovare un linguaggio comune. Domenica 27, al momento di dirigersi alle differenti sedi, era già palese agli occhi di tutti l'errore di un'eccessiva dispersione geografica tra le sedi, Madrid, Catalogna, Ruesta (Aragona), Almuñecar (Andalusia), El Indiano (Andalusia) sparse ai quattro angoli della Spagna. I riassunti dei dibattiti giungevano in ritardo ed erano spesso redatti in un gergo politico che faceva appassire le parole, e, poiché anche il collegamento informatico lasciava a desiderare, nessuno aveva un'idea chiara di come andassero le discussioni negli altri tavoli, e talvolta anche nel gruppo a fianco. Gli incontri avrebbero avuto luogo, in ogni modo, anche - e a volte soprattutto - in margine all'Incontro vero e proprio. Una buona occasione di raccontare ed ascoltare storie, scambiare sorrisi e indirizzi, la offriva il Treno Speciale per l'Umanità diretto a Barcellona con il suo carico di cinquecento partecipanti. Ma vi erano anche altri momenti di vita collettiva, i pasti, la pulizia, i giardini infantili (a carico dei nostri figli più grandi), la costruzione non priva di stridori, ma anche appassionante, di un galateo della libertà, di una vita che trova in sé le proprie leggi, al di fuori delle regole e aldilà dei divieti. Altrettanti allegri germi di un progetto di gratuità che, libero dai settarismi del passato, guarda oltre la civiltà del denaro e costituisce la grande speranza del millennio che viene. Accompagnati da un manipolo di intergalattici, Dalia e Felipe, i due delegati zapatisti, visitarono le cinque sedi dell'Incontro, percorrendo qualcosa come cinquemila chilometri in cinque giorni: con parole essenziali e un castigliano arcaico e poetico, essi improvvisarono conferenze stampa, rispondendo in maniera sempre cortese a domande non sempre intelligenti, spiegando le ragioni dell'astensione zapatista nelle elezioni di luglio, denunciando il tradimento degli accordi di San Andrés e il crescente accerchiamento militare cui sono sottoposte le comunità chiapaneche. Nei suoi interventi (vedi), Felipe descrisse le vicissitudini delle basi d'appoggio zapatiste, il lungo impenetrabile segreto che ha protetto lo sviluppo dell'organizzazione zapatista dal 1984 al 1994, la vita nei villaggi, la repressione, le uccisioni. A sua volta, Dalia (vedi) parlò della legge sulle donne redatta alla vigilia della ribellione dalle miliziane dell'EZLN, tradotta meticolosamente in ciascuna delle lingue indigene per poter raggiungere villaggio dopo villaggio ogni donna fino nel cuore della selva. Narrò episodi della vita quotidiana, la maternità, la piaga del machismo, il flagello dell'alcolismo. Concluse: "noi zapatiste, a volte non comprendiamo la lotta delle altre donne, però vogliamo dirvi che rispettiamo il pensiero di tutte voi, (...) la nostra lotta, come quella di tante altre donne, è appena all'inizio". Tra lunedì 28 e mercoledì 30 i partecipanti si suddivisero in tavoli, gruppi e sottogruppi per discutere i temi proposti (vedi): economia, politica, cultura, terra, emarginazione e lotta contro il patriarcato. "Per un mondo che contenga molti mondi" era il tema chiave dell'Incontro, mentre la costruzione di una rete mondiale di lotte era l'obiettivo da dibattere in tutti i tavoli. L'andamento dei lavori sarebbe alla fine risultato molto differente a seconda di luoghi e persone. Era emersa, fra l'altro, l'importanza del ruolo dei moderatori nel portare a buon fine le discussioni o nel farle naufragare. Laddove, adducendo motivi tecnici o di efficacia (la necessità di raggiungere il consenso, l'urgenza di produrre delle risoluzioni, ecc.), si accantonava il dibattito con l'idea di riprenderlo poi, il risultato, spesso, era di rimuoverlo. Crediamo che ciò si debba innanzitutto alla persistenza di alcuni luoghi comuni, a volte spacciati come "marxisti", secondo i quali per agire correttamente occorrerebbe applicare una teoria quasi sempre data largamente per scontata e consistente perlopiù in un mucchio di generalità poco illuminanti. Infatti, sebbene all'Incontro siano effettivamente circolate molte informazioni su moltissime lotte, diffondendo l'immagine di un mondo tutt'altro che pacificato, l'uso di tale materiale avrebbe potuto essere più fecondo. Alla prova dei fatti, l'enumerazione delle disgrazie prodotte dal neoliberismo nei diversi continenti, paesi, città, quartieri e villaggi senza assumere dei tratti comuni disperde l'unica opportunità che apre la globalizzazione ovvero che l'oppressione capitalista in Europa, in Corea, in Chiapas, non è semplicemente univoca, ma è fondamentalmente la stessa e può e deve essere quindi combattuta globalmente. Dicendo, ad esempio, che in Europa e in America Latina il dominio é di natura essenzialmente diversa, si alimentano contemporaneamente numerosi equivoci, dei quali è difficile dire quale sia il più pernicioso. In primo luogo si riproduce un atteggiamento impastato di paternalismi e sensi di colpa, che ha ben poco in comune con quella prospettiva di reciprocità che - lo abbiamo detto più volte - costituisce uno dei contributi più originali della teoria della selva. E, dall'altra parte, si alimenta una pericolosa credenza nell'autenticità delle democrazie occidentali, quelle stesse che opprimono la vita di tutti noi. PUNTI NEVRALGICI Non ci si separa impunemente dalla mediocrità. Appena la nostra intesa fu notata, diventammo oggetto di tutte le canzonature, il bersaglio di tutti gli odi. Perché anche se si cerca di non disturbarla, di nascondersi al suo passaggio, la mediocrità non sopporta che si sia differenti: la mediocrità sopporta solo se stessa. Panaït Istrati Nel corso dei tre giorni di dibattito, soprattutto durante le assemblee finali, non mancarono i problemi e le valutazioni negative: le incomprensioni linguistiche e l'insufficiente numero di traduttori competenti complicarono le cose e alla fine risultò diffusa la sensazione di non trovare la propria opinione riflessa nei documenti finali. Occorre anche aggiungere che questo si spiega, più che con la malafede di singoli individui o con inverosimili complotti, con la tenace sopravvivenza di una parola politica imbalsamata, con la pervicace volontà di condurre in porto l'Incontro in forma unitaria, e con l'impreparazione di alcuni moderatori. D'altronde, la congiuntura, in Spagna era tutt'altro che felice. Dopo l'esecuzione - pochi giorni prima dell'inaugurazione - di Miguel Angel Blanco, un funzionario minore del Partito Popolare, da parte di un commando di ETA, si vivevano momenti di grande tensione ed un clima di caccia alle streghe. Necessariamente gli organizzatori erano attenti a non sbilanciarsi, atteggiamento spesso non capito da alcuni partecipanti, in particolare italiani, i quali sembravano non considerare come una questione così incandescente e impossibile da dirimere in quella sede potesse finire per monopolizzare il dibattito. Noi crediamo che i temi delle lotte nazionali e dell'identità etnica - parole che, a differenza dell'America india, qui in Europa producono un'eco sinistra - meritino di essere affrontati con ben maggiore profondità e fuori dai condizionamenti che la situazione imponeva. È possibile conciliare nel mondo globalizzato le lotte sociali con il messaggio nazionalista? E ancora: ha un senso, oggi, considerare credibile l'esistenza degli stati-nazione? E, tanto più, crearne di nuovi? Le contraddizioni si presentarono in maniera particolarmente virulenta nel gruppo sulla prigionia politica di Almuñecar: benché il documento finale non contenesse riferimenti espliciti, il netto schieramento pro o contro ETA impedì di arrivare a un consenso, e questo malgrado l'assemblea finale, protratta oltre le otto del mattino. In tal modo la questione delle carceri venne trattata in maniera incompleta e, per molti aspetti, tradizionale, disquisendo fino alla noia su chi meriti e chi non meriti la qualifica di prigioniero politico. Su questo come su altri punti, si avverte la sensazione che il dibattito in Spagna, invece dall'andare avanti, sia a tratti rifluito rispetto ai livelli raggiunti vent'anni or sono. I dibattiti si conclusero la notte di mercoledì trenta luglio e nella mattinata di giovedì, gli intergalattici intrapresero in autobus, in treno o con mezzi propri, l'estenuante viaggio verso El Indiano, in Andalusia, una località sperduta nella torrida Sierra di Cadice, scelta perchè sede di una comune agricola con una lunga tradizione di lotta. Le condizioni logistiche - per molti di noi peggiori che in Chiapas - i 45 gradi all'ombra, le notti insonni e l'insoddisfazione diffusa provocarono il giorno conclusivo un episodio tragicomico. Le opinioni favorevoli all'eutanasia riprese dal filosofo Peter Singer in alcuni opuscoli messi in vendita da un gruppo di Lione sostenitore della liberazione animale scatenarono l'ira di alcuni compagni invalidi. Ad un tratto, la fatidica qualifica di nazista lanciata con leggerezza a uno degli animalisti da parte di una nutrita schiera di italiani e di tedeschi identificò il provvidenziale capro espiatorio. Volarono lattine di birra e si sarebbe arrivati alle mani senza il provvidenziale intervento di una militante del FZLN messicano. Ma l'accaduto basta ad indicare quanto situazioni come queste, col loro ambiguo carico di pathos, siano esposte all'oscillazione fra l'esperienza di una libera costruzione individuale della parola collettiva, e il suo opposto, il rito di massa, dove la parola autentica si converte in slogan, la costruzione di un'identità in aggressione intollerante e becera verso chi è o viene semplicemente avvertito come altro da sé. E i delegati dell'EZLN? "La piccola voce degli zapatisti spera di trovare altre voci", avevano detto all'inaugurazione. Obiettivo raggiunto? Solo in parte. L'impressionante e probabilmente inutile apparato di sicurezza costruito intorno ai due indigeni tojolabal ostacolò l'incontro e la conoscenza reciproca. Ci furono le visite ai gruppi di lavoro, qualche pasto in comune e pochi altri momenti però, alla fine, come era successo l'anno precedente in Chiapas, le nostre voci si sono incrociate, ma si sono parlate meno di quanto avremmo desiderato. Anche questo possiamo metterlo sul conto di Zedillo che isola minacciosamente il Chiapas insorto, costringendo i ribelli a uscire clandestinamente dal loro paese e a mantenersi mascherati per garantire, una volta rientrati, la propria incolumità. PROPOSITI INTERGALATTICI La formula per rovesciare il mondo noi non l'abbiamo ricercata nei libri, ma per le strade. Fu una deriva di lunghe giornate in cui nulla somigliava al giorno precedente; e che non finiva mai. Incontri sorprendenti, ostacoli impervi, grandiosi tradimenti, incantesimi pericolosi: nulla mancò in quella ricerca. Guy Debord Così, anche questo Secondo Incontro per l'Umanità e contro il Neoliberismo se ne è andato, come tanti altri incontri in lettere minuscole, con i suoi sorrisi e le sue malinconie, con le sue ingenuità e le sue passioni. L'incapacità di dare forma a una conclusione di alto profilo - com'era stata nel 1996 laSeconda Dichiarazione de La Realidad - o a campagne internazionali di rilievo, fa sì che l'Incontro si sia estinto a poco a poco, rispedendo i partecipanti alle loro case e ai loro guai, non tutti soddisfatti ma tutti con almeno un amico in più. Occorre adesso un po' di riflessione collettiva: sia ciò che ci aveva entusiasmato, sia ciò che ci aveva deluso, a distanza di qualche mese, comincia a disporsi sotto una diversa luce. È curioso che le critiche più furibonde finiscano per elidersi a vicenda. Vi è chi, con malafede interessata, per squalificare l'Incontro lancia l'accusa di anarchismo, riesumando gli spettri di Proudhon-Bakunin-Kropotkin: è il caso di Octavio Rodríguez Araujo su La Jornada (7 agosto). "Il Chiapas chiama, l'Europa balbetta" si lamenta Daniela Cavini sul Resto del Carlino (13 agosto); "Rari come l'aria fresca i partecipanti sopra i trent'anni", inventa Pierluigi Sullo dalle pagine del Manifesto (3 agosto). Meno sottile, Guillermo Almeyra denuncia (La Jornada, 7 settembre) la presenza di "anarchici, consumatori di marijuana, incorruttibili avversari del sapone e dell'igiene" rammentandoci le analoghe filippiche sui quotidiani degli anni sessanta. Dall'altra parte, tra gli intergalattici più irriducibili, c'è chi fantastica di improbabili cospirazioni di partiti riformisti, mefistofelicamente intese a impadronirsi delle anime degli ultimi sovversivi... Proviamo ad attenerci ai fatti. Gli obiettivi principali dell'Incontro erano la crescita delle rete di lotte e la definizione di nuovi campi di azione. A che punto siamo? Non possiamo non prendere atto che le reti neozaptiste attraversano una fase delicata: o superiamo quella che può essere una crisi transitoria o rischiamo di gettare alle ortiche il patrimonio (e non è poco) fin qui accumulato. Vediamo di capire perchè. Abbiamo accennato alle difficoltà che accompagnano fin dalle origini questo secondo appuntamento intergalattico. Nessuno dei gruppi coinvolti possedeva neanche l'ombra della capacità di convocazione degli zapatisti messicani, determinata fra l'altro dall'esistenza sul campo di una pratica di liberazione, dalla minaccia incombente della guerra civile, da un prestigio incontrastato. Una cosa è progettare un'iniziativa, per quanto complessa, nella "pace" della Selva, in totale autonomia e a partire da un accordo temprato da anni di azione comune, mentre ben altra è comporre pazientemente il puzzle di migliaia di teste e di migliaia di cuori, tenuti insieme da un "adesso basta" remoto e separati da decenni di isolamento, di sconfitte e di contrapposizioni durissime. In Europa, si è cercato di costruire quasi da zero un movimento sociale di caratteristiche nuove in una situazione sfavorevole e in assenza di lotte sociali significative. Per farlo, c'è voluta una buona dose di volontarismo che, sia pur con dei risultati degni di nota, non poteva non creare incomprensioni, dissonanze e rotture. Così l'autunno, la fase in cui si avrebbe potuto iniziare a raccogliere i frutti del lavoro svolto, è stato vuoto e inefficace. Come uscirne? Ad esempio, mettendo sul tappeto le questioni irrisolte, riprendendo il dibattito laddove si è interrotto. È venuto forse il momento di definire che cosa significhi essere includenti. Perchè, se non si fa saltare tutto l'apparato "politico", fatalmente rimarremo prigionieri dei soliti professionisti della rivoluzione che, loro sì, conoscono le specificità, e sanno spiegare perché si è troppo estremisti, oppure esageratamente soggettivisti o deterministi in maniera inaccettabile. E come solo il partito sappia riassumere tutte le specificità e trascenderle dando la linea giusta e distinguendo quali mondi possono stare al mondo e quali no. Si potrebbe obiettare che questi epigoni del partito sono ridicoli reperti. È vero, anche se in Spagna li abbiamo visti forse più numerosi che in Chiapas e certamente più tracotanti. Ma è ugualmente vero che costoro, anche quando scarsamente influenti, sono ancora perfettamente in grado di far perdere tempo ed energie, di mandare in secca una volta ancora la nave della speranza. Tutte ciò non può comunque farci scordare che il principale successo di questo Secondo Incontro è stato di dare la possibilità ad alcune migliaia di amici della libertà provenienti da cinque continenti di conoscersi, di vivere insieme alcuni giorni indimenticabili, di condividere riflessioni importanti sul futuro e di aprire degli spazi. La discussione messa in moto dagli zapatisti sullo stato attuale delle lotte sociali nel mondo continua e si approfondisce. Come pure è di grande importanza l'essere riusciti a portare a termine l'iniziativa in maniera auto-organizzata: il percorso, i contatti, i molti incontri che ci hanno portato in Spagna restano esperienze significative quanto l'Incontro stesso. Coloro i quali avevano reputato indispensabile passare sotto le forche caudine delle pubbliche sponsorizzazioni, del supporto dei mezzi di comunicazione, degli intellettuali di grido, di sindaci alla moda sono stati obiettivamente smentiti dai fatti ed è una gran bella notizia per chi abbia a cuore le sorti di questo movimento. Naturalmente, il prezzo pagato a quest'ultima scelta è stata la visibilità mediatica ridotta praticamente a zero. Esito questo che potrebbe risultare tanto positivo quanto negativo a seconda della capacità che la rete dimostrerà di sapere sciogliere nelle realtà locali le molte ricchezze di quest'esperienza e di affrontare uno dei grandi problemi del nostro tempo: la ricostruzione del luogo pubblico, della capacità stessa di incontrarsi e comunicare. Come aprire degli spazi autenticamente democratici creando una situazione memorabile? Come appassionare altre persone a quest'avventura? Come andare oltre le maschere e i ruoli? Come imparare a parlare di sé, delle proprie vite e di un progetto comune, senza scadere nella stanca ripetizione di formule vuote? Il documento finale sulla rete (vedi) definisce e precisa queste domande e incomincia a delineare - ancora vagamente - delle risposte. Domande e risposte che dovrebbero essere materiale per un Terzo Incontro, semprechè quest'incontro si faccia. Certamente oggi, alla luce degli esiti conseguiti e del costo forse troppo elevato di una simile impresa, l'idea di un incontro simile ai primi due (cioè con la medesima pretesa di affrontare tutti i temi da tutti i punti di vista) desta parecchie perplessità: ma occorre ammettere che potremmo domani trovarci a rimpiangere questo spazio che ci eravamo conquistati, qualora non riuscissimo a salvaguardarlo. D'altronde, è ora di dire che alcune delle conclusioni di questo Secondo Intergalattico, come già del Primosono tutt'altro che banali: sul tema delle migrazioni, ad esempio, si è lavorato molto e con notevole efficacia. I contributi dei tavoli delle donne (quello misto e quello no) hanno valorizzato uno degli aspetti più belli di questa tormentata rete zapatista: dal primo giorno, le donne vi agiscono in prima persona, coniugando specificità e interscambi, contribuendo a determinare una sensibilità articolata che ha fatto piazza pulita di tante anticaglie della politica più efficacemente di tanti pur degni propositi verbali. Infatti, poiché non possiamo più permetterci di continuare a combattere l'alienazione sotto forme alienate, dobbiamo vigilare a che gli incontri non si convertano in noiose e sterili super assemblee, impegnate a soppesare questioni tanto più astratte quanto più' pretendono di essere concrete. Il metodo includente che tutti difendiamo non può e non deve essere quello in cui tutte le ideologie sono ammesse e dotate di pari opportunità, ma quello in cui donne e uomini, rimettendo in discussione la propria vita, lasciano in un canto norme e pregiudizi. In questo senso si aprono per noi tutti nuove occasioni: un primo esempio lo propongono le organizzazioni indigene e popolari dell'America Latina che già da anni funzionano in maniera efficace; come pure la rete Play Fair Europe che pianifica azioni contro l'Organizzazione Mondiale del Commercio e più in generale contro Maastricht. A Napoli si sta costruendo un arco di iniziative per la solidarietà interetnica nell'area mediterranea e contro la conversione della Nato in struttura armata dei paesi ricchi e bianchi contro i poveri di tutti i colori. Dalle marce europee su Amsterdam del 1997 è nata una Rete Europea contro la disoccupazione, e il precariato che sta ottenendo dei risultati apprezzabili, soprattutto in Francia. I compagni brasiliani del movimento Senza Terra stanno già esaminando l'ipotesi di farsi organizzatori del prossimo Incontro Intercontinentale, una decisione che potrebbe imprimere un grande impulso all'allargamento geografico e al radicamento dell'azione svolta in questi anni. È utile a questo punto spendere qualche parola anche sulle reti informatiche e sulla funzione da esse svolta in questa vicenda. In primo luogo, anche tenendo conto dei molti problemi esistenti, è necessario notare che la circolazione delle idee attraverso la posta elettronica e la pubblicazione degli interventi e delle discussioni relative all'Incontro nei vari siti web dedicati al tema ha permesso di estendere ed approfondire il dibattito internazionale. Inoltre, le mailing list zapatiste hanno dato spazio anche a molte altre lotte in molte parti del mondo: Perù, Brasile, Colombia, Guatemala, Nigeria, Marocco, Kurdistan, Indonesia, ecc.. Se è vero che il numero di persone che possono accedere a questa forma di comunicazione è limitato, è anche innegabile che essa fa da megafono a movimenti sociali che in altro modo non sarebbero oggi conosciuti. Sarebbe interessante sapere fino a che punto la circolazione di informazione per via informatica stia realmente influendo sullo sviluppo delle lotte sociali. Ma è possibile immaginare una quantità di altre attraenti opportunità, muovendo dalle iniziative locali, dalle campagne di boicottaggio e dalle reti settoriali (ecologiche, antinucleari, contro il razzismo, per i diritti umani, per il reddito ecc.) articolate "con pratiche di resistenza e trasformazione di carattere globale", per passare al collegamento con altre reti, alla realizzazione di azioni simultanee sui medesimi obiettivi nei diversi paesi, all'attivazione di forme di autorganizzazione quali il mutualismo, alla creazione di strutture di ospitalità che favoriscano il nomadismo e l'intreccio delle culture...e così via, senza naturalmente trascurare la solidarietà con quei refrattari che vivono momenti di particolare difficoltà, in Chiapas o in Kurdistan, in Algeria o in Albania, o magari più vicino a noi, per esempio nei campi profughi o nelle carceri nazionali. L'Incontro intercontinentale non è finito: questa la coscienza che è necessario radicare. La coscienza che ciascuno deve poter trovare il proprio posto insieme con tutti gli altri nel mondo che contiene molti mondi. Quel mondo che abbiamo già iniziato a costruire dove le nostre speranze e le nostre passioni getteranno le basi della più grande festa del Ventunesimo Secolo. Claudio Albertani e Paolo Ranieri Messico-Italia-Francia-Svizzera-Repubblica Ceca-Spagna. Agosto 1996-20 dicembre 1997. Sul retro di copertina: La nebbia è il passamontagna che usa la selva. Così lei occulta i suoi figli perseguitati. Escono dalla nebbia. Alla nebbia tornano: la gente di qui si veste di abiti sontuosi, cammina ondeggiando, tace o parla in maniera taciturna. Questi principi condannati alla servitù furono i primi e saranno gli ultimi. Hanno portato via la loro terra, hanno tolto loro la parola, hanno proibito la memoria. Però essi hanno saputo rifugiarsi nella nebbia, nel mistero e da lì sono usciti mascherati per smascherare il potere che li umilia. Eduardo Galeano Altre citazioni fuori testo da usare per le foto: Non sacrificate il bene presente al bene avvenire. Godete del momento, evitate qualsiasi associazione di matrimonio o di interesse che fin dall'inizio non soddisfi le vostre passioni. Perchè dovreste lavorare per il bene futuro dal momento che questo andrà oltre i vostri sogni d'oggi, e voi, nell'ordine combinato non avrete che un solo dispiacere, quello cioè di non potere raddoppiare la lunghezza dei giorni per farli bastare all'immenso giro dei godimenti che avrete da percorrere. Charles Fourier Pazienza e ironia sono le prime armi del rivoluzionario Alain Resnais Vi sono segni che arrivano nei sogni. Arrivano affinché si possa riflettere su di essi, fissarvi le proprie idee. Il sogno è consegnato alla mente perchè questa possa pensarlo, possa sognarlo, possa vederlo prima di leggerlo nella realtà, prima di arrivare dove è scritto, nel libro o sulla pietra. Don Tomás, sacerdote maya Oggi potere alcuno non hai, no, sul domani, e ripensare all'ieri non è che tristezza. Non perdere quest'attimo, quindi, se il cuore tuo non è folle; di questo resto di vita non si vede il valore. Omar Khayyam |