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I NOSTRI MONDI E IL LORO MONDO TAVOLO DI RUESTA (CONCLUSIONI) MONDI DIFFERENTI II INCONTRO INTERCONINTALE PER L'UMANITÀ E CONTRO IL NEOLIBERISMO Il titolo di questo Tavolo sta ad indicare la differenza tra una struttura di dominazione ed altre dominate. Nord e sud. Centro e periferia. Ricchezza e povertà. Non è l'illusione di persone o militanti radicali, sono realtà illustrate dalle cifre stesse di fame, morte, insalubrità, violenza ed emarginazione fornite da vari organismi internazionali, inclusi organismi talmente poco sospettabili come l'UNESCO o il PNUS (Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo). E non è solo questo. Sono visioni delle cose, delle persone, dei modi di rapportarsi e convivere... di esistenze opposte e diverse. Le stesse società sviluppate non si liberano di crescenti zone di depauperizzazione. Inclusi settori che godono di livelli medi o alti di consumo convivono in modo depredatorio in un ambiente individualista e utilitarista prodotto di una cultura il cui nucleo morale è il profitto e la concorrenza materiale. La cultura dello sperpero, dell'ostentazione, il regno dell'abbondanza che ha generato una dinamica ecologica degenerativa di conseguenze imprevedibili. A livello politico, milioni di persone vivono sotto regimi autoritari di caratteristiche estremamente repressive con vittime politico-sociali giustiziate, incarcerate o fatte scomparire. D'altro lato, regimi autodenominatisi democratici continuano a mantenere seri deficit di democrazia reale. Dimenticano che la democrazia deve sostenere meccanismi di partecipazione vitali e pluralistici. Dimenticano che continuano ad essere essenzialmente democrazie dominate da mezzi di comunicazione in mano ad imperi finanziari. Società amministrate dal sistema dei partiti che si perpetua grazie a concrete linee di finanziamento e a sistemi elettorali autoriproduttivi. Partiti e mezzi di comunicazione diretti da grandi gruppi di pressione finanziaria che decidono ogni volta che vogliono che cultura adottare e che normativa è la più conveniente per perpetuare il Sistema. In questo modo, milioni di persone che si credono libere sono indotte a vegetare in un sistema politico in cui periodicamente vengono svolte elezioni di massa. Una società in cui i mezzi di comunicazione di massa amministrano l'informazione in funzione di interessi imprenditoriali o di gruppo. In cui la propaganda induce al consumo di massa. In cui il tempo libero è gestito dagli slogan di una serie di grandi imprese multinazionali che producono fenomeni musicali e sportivi di massa, in cui la massa però non prende nessuna iniziativa salvo quella di consumare. Il mondo moderno, il mondo guidato dal capitalismo è stato, è e sarà un mondo di massa, una società di massa. Certo, masse molto differenti tra loro: le masse dei morti di fame, malattie e repressione e le masse organizzate in sistemi di consumo di massa, politicamente e socialmente malate. Il capitalismo ha sempre mantenuto un discorso di speranza. La sua giustificazione è stata sempre che lo sviluppo e la felicità collettiva non avrebbero tardato ad arrivare per tutti, in quanto le forze produttive si sarebbero sviluppate verso un livello superiore. E questo livello non arrivava. E non arrivava mai. Ripetiamo: statistiche da storia dell'orrore per fame ed insalubrità e, se no, miseria... miseria che durava tutta la vita. Miseria e sottomissione. Sottomissione e umiliazione. La grande giustificazione teorica per il colonialismo era la ricerca dello sviluppo per i popoli non occidentali. Due secoli dopo, la realtà ha dimostrato come la conquista e l'occupazione militare e politica non erano altro che strumenti di una strategia economica che è stata imposta drammaticamente a milioni di esseri sotto forma di tre modelli di dipendenza e sfruttamento. E il cui ultimo esponente è stato il modello di dipendenza finanziaria che ha estratto milioni e milioni di dollari negli ultimi decenni da tutto l'ambito periferico riducendolo, alla fine degli anni ottanta, ad una situazione di quasi bancarotta. E giustificazioni teoriche non sono mancate. In una direzione identica si è mossa la questione strettamente politica. Si giustificano dittature ed aiuti a regimi colpevoli di genocidi in funzione della guerra fredda, in funzione del pericolo comunista. Il pericolo comunista cessa con la scomparsa del blocco sovietico e vediamo come dai laboratori di Harward o del ministero dei rapporti con l'estero si elaborino tesi per dimostrare i pericoli che rappresenta per l'occidente il nemico islamico, il pericolo del blocco geopolitico cino-confuciano o di quella che viene chiamata l'incognita latinoamericana. Improvvisamente il mondo si riempe di pericoli per l'indifeso blocco occidentale che si impegna così a rafforzare le sue linee di difesa e il suo arsenale bellico. Che si vede obbligato ad ampliare la sua struttura militare, la NATO. Comunque, ciò che è sicuro è che il blocco occidentale, sia sotto forma di G-8, Commissione Europea, Commissione Trilaterale o altri cenacoli più ristretti continua a mantenere coerenza strategica per l'egemonia politica, economica e culturale. Mentre i più potenti gruppi di pressione egemonizzano e dirigono, il resto dell'Umanità si rassegna e subisce le conseguenze di questa direzione e di questa egemonia. Ciò che adesso viene chiamato neoliberismo, non è altro che un riallineamento strategico dello stesso sistema. Non è una innovazione teorica per un migliore sviluppo dei popoli come si vuole far credere all'opinione pubblica. È la necessità imperiosa di non far entrare la periferia nella bancarotta tecnica prima menzionata, il che implicherebbe la paralisi della riscossione di plusvalore. È una necessità strategica del capitalismo di tornare a rendere egemonica la seconda fase della dipendenza: quella industriale. Dei centri strategici del potere come sarebbe successo a partire dal 1990 con il Piano Brady. È l'ultimo movimento diretto. E in questo ultimo movimento, che ruolo hanno svolto le opinioni pubbliche dei perfetti sistemi democratici occidentali, nelle decisioni sull'irruzione di politiche neoliberiste e sul delinearsi delle stesse? È stato chiesto loro e si è riflettuto sulla convenienza delle privatizzazioni dei settori pubblici, dei settori di tutti, sulla riduzione dei sussidi di disoccupazione, sulla quasi scomparsa degli indenizi di licenziamento, sull'imposizione della contrattazione precaria, sull'imposizione dei contratti spazzatura, sulla privatizzazione della sanità... ? O sono stati presentati invece come fatti compiuti, tecnicamente inevitabili, insuperabili? Questo è successo, e se ne vantano pure!... mentre il riconoscimento dell'inevitabilità dell'ultraliberismo è invece il riconoscimento più radicale che l'eterna promessa della società opulenta per tutti è stata impossibile, è stata una grande menzogna. È il riconoscimento del fallimento del Sistema. Quando si parla di fallimento sovietico, che senza dubbio è reale perché mai si arrivò al comunismo né a qualcosa di simile, si evita di parlare del fallimento ancora maggiore del capitalismo che non ha avuto le difficoltà e le pressioni per cui è passato il regime sovietico. E ancor meno si può parlare di fallimento nel caso di Cuba. Basta confrontare il suo tasso ISU (Indice di Sviluppo Umano) fornito dalle Nazioni Unite con i paesi che ha attorno, basta confrontare i suoi servizi pubblici o il suo sistema di stratificazione sociale. E questo con l'embargo permanente imposto dagli Stati Uniti. E che maggior fallimento per il cosiddetto mondo libero, e liberale, del ritorno a modalità contrattuali e agli stadi sociali del diciannovesimo secolo. Quando promettevano propagandisticamente, agli inizi degli anni settanta, l'avvento della generazione dei diritti ecologici, si cominciava a smontare sottilmente la terza generazione dei diritti, i cosiddetti diritti sociali e, incluso in quest'ultimo decennio, assistiamo alla regressione della seconda generazione di diritti, quelli politici, sotto forma di legislazioni di emergenza e leggi speciali. Ciò accade in modo realmente contundente nelle cosiddette nuove democrazie latinoamericane. Non c'è dubbio che il neoliberismo consista in una riformulazione che determina un ritorno verso ciò che caratterizzò il liberismo del diciannovesimo secolo: il regno della prima generazione di diritti, quelli civili, tutti limitati e subordinati a ciò che fu considerato il primo diritto civile per eccellenza: il diritto alla Proprietà, il diritto e il rispetto della proprietà di coloro che già posseggono. Il regno borghese del proprio, dell'individuale, degli utili e delle rendite. Il vecchio sistema ha dimostrato di essere questo e solo questo. E che è incapace di essere qualcosa di differente. Non è più questione di polemizzare sul credere o no alla tesi marxista dell'inevitabile rovina e crisi finale del capitalismo. È sufficiente comprovare la storica e permanente struttura di morte fisica e culturale del capitalismo. Fin qui la situazione. Fin qui la nostra analisi. Però ora ci vediamo obbligati a trovare delle soluzioni. Per lo meno a tentare. Questo Tavolo di Ruesta era stato denominato genericamente "I nostri mondi e il loro mondo". Il loro è quello esposto anteriormente e i nostri un giorno verranno. Sappiamo ciò che non vogliamo, ma bisogna cominciare ad arrivare a qualche accordo su ciò che si vuole e in che maniera lo si vuole raggiungere. Le spiegazioni non passano più per la conquista dello stato, per la conquista del potere politico istituzionale come obiettivo prioritario. Si è coscienti che il potere istituzionale è un potere vano, debole ed etereo se non si controllano gli strumenti che organizzano e strutturano la società civile, se la struttura economica e sociale e geopolitica degli stati-nazione rimane in mano alla logica capitalistica, alla logica del mercato. Per questo, tutta la strategia alternativa è centrata su un un ampliamento della società civile e su di una inevitabile immersione in essa. Questo è un concetto che è stato raccolto già da qualche tempo in diversi ambiti alternativi e il cui uso non è nuovo: trae le suo origini dalla tradizione decimononica del socialismo e del sindacalismo. Fu sostenuto, già dai primi del secolo nelle sue varianti gramsciane. Concetto raccolto, ora, da lotte politiche alternative in America Latina, dal discorso indigenista, comunalista e dalla teologia della liberazione. E che ha raggiunto la massima espressione con la sollevazione zapatista e le varie dichiarazioni della Selva Lacandona. Il discorso teorico e le strategie centrate sulla Società Civile richiedono molte considerazioni, precauzioni e limitazioni, nel momento in cui si parla di temi così polivalenti come la lotta armata, i movimenti di liberazione nazionale e la costruzione del socialimo. Nella sinistra, nella sinistra comunista o autonoma, nelle posizioni anarchiche o libertarie, si sono commessi errori degni di valorazione e autocritica profonda che l'ha distanziata da una opinione pubblica sedotta dal Sistema o latitante da esso. Le stesse precauzioni sono necessarie quando parliamo di critica allo stato, ai cosiddetti stati-nazionali e ai loro sistemi. Al Sistema nei paesi centrali del capitalismo o nei paesi periferici del capitalismo, in cui il neocolonialismo mantiene i suoi regimi totalitari. Tattiche e strategie saranno molto differenti e non si devono né possono equiparare i menzionati contesti politici e territoriali. D'altro lato, è bene avvertire che è un discorso che desidera appropriarsi di nuove articolazioni teoriche antistataliste, che difendono il lato più selvaggio della cosiddetta economia di libero mercato, cioè del capitalismo. In questi giorni abbiamo ascoltato critiche verso l'accettazione positiva di questo concetto per essere utilizzato nelle posizioni precedentemente accennate. A questo si è risposto che è comodo sputare sul piatto del nemico concedendogli tutto ciò che è opportuno. Il difficile è disputargli concetti, verità, dati e realtà. Il concetto di società civile è antico. Si è già lottato in suo nome all'interno della tradizione socialista, sindacalista e anarchica del diciannoveimo secolo, contrapponendolo all'appropriazione liberale. Al contrario fu disprezzato da un'importante parte del socialismo prostatalista, facendo un gran favore al proprio nemico. Lavorare con la Società Civile richiede capacità di aprire e creare spazi di influenza. Richiede l'organizzazione di reti che, al principio, sosterrebbero un lavoro di organizzazione eminentemente politico ma che, in seguito, sarebbe opportuno fosse anche sociale. Sociale in funzione della creazione di strutture di cooperazione, produzione e appoggio mutuo anche nella vita quotidiana, che facesse crescere l'influenza di ciò che abbiamo chiamato Società Civile. Perché non dobbiamo dimenticare che se in qualcosa possiamo essere daccordo tutti è nella dicotomia, nella contraddizione, nell'opposizione tra i concetti di Società e di Comunità, tra lo spirito collettivista e quello individualista. La Società come struttura sociale individualista, utilitarista, competitiva, calcolatrice, di forti e amorali depredazioni nei confronti degli elementi più deboli; deboli per essere solidali e affratellati. La Comunità come modello alternativo e solidale, conseguenza di legami affettivi, lavoro comunitario e crescita equilibrata in funzione del miglioramento delle relazioni umane e non per avvilirle, così come accade nel quadro della logica del capitale. Comunità da iniettare progressivamente nel ventre di questo modello di società depredatore e distruttore di qualsiasi tipo di armonia ed equilibrio nella convivenza che non sia quello del calcolo dei benefici. Influenza nella società civile vorrà dire conquista di spazi, autoorganizzazione non solo politica ma anche economica, di cui sono buoni esempi le reti di consumo e produzione. E all'ultimo estremo modelli di società cooperative, banche alternative e commercio equo. Non bisogna considerare l'immersione nella società civile come qualcosa di facile; richiede lavoro, preparazione tecnica, volontà, tatto e tattica... molto lavoro tattico. Molta capacità comunicativa e di sacrificio rispetto ai diversi ambiti di questa società civile: i nostri ambiti lavorativi, il contesto professionale, il quartiere e il vicinato, la famiglia e il nucleo delle amicizie e simili. Molta capacità politica e di negoziato rispetto agli ambiti più istituzionali della società civile come sindacati, partiti politici, mezzi di comunicazione, università e Ong. È fondamentale non trascurare l'appoggio e la collaborazione con coloro che sono vicini alle nostre impostazioni ideologiche basilari. Con i movimenti di liberazione e rivendicativi esistenti oggi negli stati nazionali e i cui obiettivi sono conquistare la giustizia e la dignità degli espropriati. Perché non siamo un fine a sé stesso ma parte di un progetto con delle mete e, perché non dirlo, di una utopia. Accanto al tema anteriore, un tema specifico del Tavolo era il senso della solidarietà internazionale e il ruolo delle Ong. Le Ong non sono né un bene né un male ma, come tutti gli oggetti, uno strumento che può venire utilizzato nell'uno o nell'altro modo. Se un progetto è utilizzato solo per consolare, assegnare della carità e solo a partire da una prospettiva consumistica, il progetto sarà conservatore, coprirà le deficenze e le ingiustizie del sistema e sarà complice della struttura di dominazione. Se, al contrario, il progetto assegna risorse che possano servire a continuare direttamente o indirettamente una lotta o se introduce una logica di produzione e scambio non capitalista, sì sarà un prodotto coerente con una lotta alternativa. E da questo punto di vista ci deve essere indifferente da dove provengano i fondi, è lo stesso che provengano dai preventivi di un governo conservatore o dalla fondazione Rockfeller. Non solo: sarebbe un merito averli ottenuti da tali fonti. Identica posizione bisognerebbe adottare rispetto allo 0,7%, un tema fondamentale per lottare per progetti che vadano contro la logica del sistema. Tema fondamentele, inoltre, per la presa di coscienza dell'opinione pubblica riguardo alla tragedia delle attuali strutture di consumo e dominazione. A partire da campagne così conosciute, è assai fattibile la progressiva sensibilazione verso posizioni di critica al neoliberismo. Il tema della solidarietà internazionale è, generalmente, relazionato a processi di popoli in lotta per la loro autodeterminazione, visto che si tratta di collettivi immersi in dure lotte. Generalmente le loro lotte per l'autodeterminazione o per l'autonomia non sono semplici propositi di eclusivismo ed individualismo liberal-nazionalista, bensì rivendicano il rispetto verso culture di profonde radici comunitaristiche e verso un' evoluzione dei loro modelli sociali in questo senso. Lottano contro modelli di stato imposti, basati su pratiche antidemocratiche e logiche societarie. Stati generalmente immersi in processi di modernizzazione degenerativi anch'essi imposti. Possiamo simbolizzare questi processi di liberazione con le cause più conosciute per la loro antichità e le sofferenze vissute , come la causa palestinese, la causa saharaui, la causa curda o quella di Timor. E una menzione speciale merita anche la causa indigena in America Latina che ha rinnovato il suo sforzo dagli inizi degli anni settanta e che è culminata con la sollevazione zapatista del 1994. È importante menzionare come le meccaniche e le tecniche politiche adottate per la propria libertà, facciano riferimento a modelli differenti che vanno dalla rivendicazione di uno stato proprio alla rivendicazione di autonomie all'interno di strutture di altri stati. Il loro mondo o un altro differente. Fin qui alcuni elementi per continuare a camminare. Dipende da noi. Dalla nostra volontà, dalla nostra capacità di sacrificio e dalla nostra preparazione. |